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Some large pink shells, the
ones of the Strombus species, are approached to the public’s ears by the museum’s staff,
giving to the visitors the opportunity to hear the sound of the sea directly from their hands.
This is a simple gesture, familiar to everyone, a gift that can be traced back to a common and collective memory. The
evocation of an intimate sound, of an element present in everyone’s life and easily recognisable, even if invisible: water.
Alcune grandi conchiglie rosa, della specie Strombus, sono avvicinate alle orecchie del pubblico dal personale del museo, dando così la possibilità ai visitatori della mostra di sentire il suono del mare direttamente dalle proprie mani. Questo è un gesto semplice, a tutti familiare, un dono riconducibile a una memoria comune e collettiva. L’evocazione di un suono intimo, di un elemento presente nella vita di tutti e facilmente riconoscibile, anche se invisibile: l’acqua.
The protagonists of this performance, which took place in the narrow corridor of Raffaella Cortese gallery, are roses sellers from Bangladesh, now living in Milan. The sellers stand on their feet on lined-up stools which become precarious pedestals and contribute on giving them both a sculptural and sacral presence. From their nomadic dimension they are moved on to a static one. The proximity of their bodies with the audience, invited to inhabit the narrow corridor space, creates a dialogue. Roses bushes in their hands give shape to a hanging rose garden; the roses draw a line across the space filling the environment with their scent.
I protagonisti di questa performance, nello stretto corridoio della prima sede della galleria Raffaella Cortese, sono venditori di rose, originari del Bangladesh, ora residenti a Milano. I venditori rimangono in piedi su sgabelli allineati, che si fanno piedistalli precari e conferiscono loro una presenza scultorea e sacrale. Si passa dalla dimensione nomade del loro lavoro a quella statica. La vicinanza tra i loro corpi ed il pubblico, invitato ad abitare lo spazio angusto del corridoio, crea un dialogo. In mano hanno mazzi di rose rosse, che formano un roseto sospeso, disegnano una linea nello spazio e inondano gli spettatori e l’ambiente di profumo.
A complex itinerant work made up of elements that allude to spontaneous forms of aggregation in public spaces. It consists of a large market-stand tent and hundreds little mirrors with plastic frames hanging from raffia cords. Around
the tent, four cars are parked, their headlights are switched on and their radios are playing loud music. As a result, the soundtracks overlap and mash-up. Each element chosen by the artist becomes an important piece of the little amusement park, where “architectures
and people” converge together without
establishing new hierarchies. Circus represents a new center “linked to the city, its changes are influenced
by life and time”.
Si tratta di una complessa opera itinerante costituita da elementi che alludono a forme spontanee di aggregazione nello spazio pubblico. Si compone di un tendone da mercato e di centinaia di specchietti con cornice di plastica, appesi a fili di rafia. Intorno al tendone sono disposte quattro automobili con i fari accesi. Dal loro interno le autoradio trasmettono musica a tutto volume; le colonne sonore si sovrappongono e si mescolano tra loro. Ogni elemento scelto dall’artista diviene componente di un “piccolo luna park” dove convergono e si riflettono “architetture e passanti”. Senza stabilire nuove gerarchie, Circus definisce temporaneamente un nuovo centro “legato alla città, con una forma che cambia secondo il tempo e la vita che vi scorre attorno”.
The video documents a series of interviews carried out in via Padova, a main street in an area which is a home to a large Arab community in Milan.
The passers-by are asked to express their opinions about subjects such as love and memory. Recorded frontally,
each of them holds a yellow melon in his hands: a recurring element and colorful spot with pseudo-exotic features which is present in every shot. The
editing with cyclic sequences creates a poetic multiethnic narration that describes the social and urban territory here and now, juxtaposing it to the intimate and distant territory of everybody’s ideas and dreams.
Un video raccoglie una serie di interviste eseguite in via Padova, un quartiere di Milano che accoglie una delle comunità arabe più estese della città. I passanti, inquadrati frontalmente si esprimono su temi come l’amore e la memoria. Ognuno tiene fra le mani un melone giallo: elemento ricorrente e macchia cromatica pseudo-esotica che ritorna in ogni inquadratura. Il montato ciclico delle sequenze crea un racconto poetico multietnico che descrive il territorio sociale e urbano del qui e ora, contrapponendolo a quello intimo e distante delle idee e dei sogni di ognuno.
An out-of-service car is placed in the center of the gallery. Its presence recalls the idea of the end of a journey, an experience, an absence of voices, bodies, actions. The object exhibited contrasts with the video image projected in front of it: the car’s headlamps project images, like in a dream. These visions show an urban performance shot in the desert and silent suburbs of Florence, with some young boys doing handstands in front of closed shops shutters. The noise of their feet hitting the metal surface comes from two loudspeakers placed on the back seat of the car. The sound of the boys hitting the shutters recall street shows and civil insurrections.
Un’automobile fuori uso è collocata in mezzo alla galleria. Presenza che rimanda all’idea della fine di un viaggio, a un vissuto, a un’assenza di voci, corpi, azioni; l’oggetto esposto contrasta con l’immaterialità dell’immagine video adiacente: i fanali anteriori della macchina, come in un sogno, proiettano delle immagini. Queste visioni sono la documentazione video di una “urban performance” girata per le strade periferiche, deserte e silenziose di Firenze, dove dei ragazzi eseguono delle verticali sullo sfondo di saracinesche di negozi chiusi. Il rumore dello scontro dei piedi sulla superficie metallica è amplificato da due casse audio collocate sui sedili posteriori della macchina. Le “botte” si diffondono nello spazio creando una serie ripetitiva di spaventi sonori che ricorda le manifestazioni da strada e le rivolte cittadine.
This series of photos take configuration as a depiction of Milan central station urban social scape.
Groups of immigrants gathering there, using those spaces as
their meeting point, are
portrayed as elegant aristocrats holding coloured Karate belts. They pose in the frame as renaissance celebrities adorned with colorful drapes giving birth to an
uncanny oniric neo realism.
Questa serie di foto si configura come una ricognizione del paesaggio sociale cittadino nei pressi della stazione centrale di Milano.
Gruppi di immigrati, che ricreano in quei posti un loro luogo di aggregazione, vengono ritratti come fossero dei nobili eleganti con delle cinture di Karate di tutti i colori. I soggetti posano nelle fotografie come dei personaggi rinascimentali fregiati con drappi colorati, dando vita a un neorealismo sognante.
In this photograph Maloberti stands in the middle of his living room. The dining table has been dismissed, and the artist, along with his family, is occupying the center of the space. The owners of the house stand still and in a royal position, an image that almost reminds of some metaphysical mannequins;
in this way they are becoming
the main characters of this work.
The black and white image, the furniture in the room, the white light entering from the window, everything reminds of a Neorealist aesthetics. With a work which reveals a moment of shared intimacy with the observer, the artist aims to show the relationship between objects
and people, trying to describe domestic reality and country life.
In questa fotografia Marcello Maloberti si trova al centro del suo salotto. Il tavolo da pranzo è stato appositamente messo in disparte e l’artista, insieme ai suoi familiari, va a occupare il centro dello spazio. I proprietari della casa sono immobili e assumono una posizione regale, ricordando quasi dei manichini metafisici e diventando così i protagonisti di questo lavoro. L’immagine in bianco e nero, i mobili nella stanza, la luce bianca della finestra, sono un forte richiamo al Neorealismo. Un lavoro che svela un momento di intimità condivisa con lo spettatore dove l’artista è interessato a presentare la relazione tra gli oggetti e le persone, cercando di raccontare una realtà domestica e di provincia.
The photograph shows Maloberti’s mother and grandmother wearing a red and white checkered tunic. The two figures create a surreal portrait. The result is both disturbing and sweet, just like memory. The frontal pose of the women’s faces, the magnetism in their gazes recall a shrunken ironic plot. Right below the
photograph, a large square table cloth lays on the floor; a round hole in the middle of the tunic shows a glimpse of a pillow. Seen from above, these objects turn into a perceptual vertigo,
in a threshold-bed towards
a dream-like reality.
In una fotografia a colori la madre e la nonna di Marcello Maloberti indossano delle tuniche ricavate da un tessuto a quadri bianchi e rossi. Le due donne danno vita a un ritratto surreale, inquietante ma dolce come un ricordo. Nella frontalità accentuata dei volti e nel magnetismo degli sguardi sospesi, ironizzano una narrazione contratta. Ai piedi della fotografia è stesa una grande tovaglia quadrata, un taglio rotondo al suo centro lascia intravedere un cuscino. Visto dall’alto, l’oggetto si tramuta in una vertigine percettiva, in un letto-soglia verso la realtà onirica.
Marcello Maloberti’s
grandmother is crouched
– like a little girl – under the kitchen table. As a rural and
primitive architecture, the table
symbolizes a temporary shelter, built as a defense from an invisible threat. The sweetness
of the image, characterized by a mixture of disturbing anguish
and dream-like poetry, recalls neo-realistic aesthetics and reveals emotions and familial details. The motionless moment has the narrative power of a prolonged time span. Casa can be considered an ante litteram
work in Maloberti’s career.
La nonna di Marcello Maloberti è accovacciata sotto il tavolo della cucina con le movenze di una bambina. Elevato ad architettura rurale e primitiva, il tavolo assume le sembianze di un rifugio temporaneo eretto a difesa di un’invisibile minaccia. La dolcezza dell’immagine, in bilico fra angoscia straniante e poesia onirica, è un forte richiamo all’estetica neorealista e racconta con immediatezza probabili dinamiche affettive e familiari. L’istante immobile contiene la potenza narrativa di un arco temporale prolungato. Casa è una performance ante litteram nella carriera di Maloberti.
Foreign passengers have been spied with a camera on Milano’s subway. The voyeuristic eye focuses on their faces and tries to catch the breaths through
long lasting still shots and somatic details. The sequences are shown on monitors placed
on furnitures inside a shop in the Milanese subway. The
time-space dimension of this installation is suspended, it turns into an investigation about
social and urban issues.
Dei passeggeri d’origine straniera sono stati spiati con una telecamera durante l’arco di svariati viaggi in metropolitana. L’occhio insiste sui volti e cerca di coglierne il respiro attraverso lunghe inquadrature fisse di primissimi piani e dettagli somatici. Le sequenze sono riprodotte e amplificate da alcuni monitor disposti sui mobili di una vetrina nei seminterrati della metropolitana milanese. La dimensione spazio-temporale dell’installazione è sospesa e assume la forma di un’indagine socio-urbanistica dagli aspetti tanto insoliti quanto consueti.
In this performance a graphic
yet abstract sign redesigns the space. The architecture disappears, leaving only the red line of an hotel hallway which becomes the scene of this static frame, where humans become sculptural matter. A lying performer holds a walkman in
her hands and the public,
wearing headphones, listens to the played nursery rhymes, becoming the artwork itself, in
an equilibrium between
theatre and tableau vivant.
In questa performance un segno grafico e astratto ridisegna lo spazio. L’architettura scompare lasciandoci solo la linea rossa di un corridoio d’albergo che fa da scena a questo frame immobile, dove le persone diventano materia scultorea. Una performer sdraiata tiene in mano un walkman e il pubblico, indossandone le cuffie e ascoltando le filastrocche riprodotte, entra a far parte dell’opera, in bilico tra teatro e tableau vivant.
Masking tape fragments cover a concrete outdoor surface. An obsessive and maniacal gesture that modifies the surface
shaping an artificial landscape.
The fragments by giving some sort of softness and fragility to the space both compose new shapes and change the light perception. It is a precarious installation which will perish through the course of the time.
Frammenti di scotch di carta coprono una superficie di ce- mento che si trova all’esterno.
Un’azione ripetitiva, un gesto maniacale che modifica la superficie stessa creando un paesaggio artificiale. I frammenti conferiscono morbidezza e fragilità al cemento dando vita a sensazioni luminose e componendo nuove forme.
Uno scatto fotografico ferma questa installazione precaria soggetta allo scorrere del tempo.
Five dancers are linked to the
wall of the Bocconi University
building in Milan by means of red belts around their waists; they lean on them with their weight, forming a 30° angle between
their bodies and the sidewalk. The visual impact of the performance is that of a still, redesigning the space as if it was an additional graphic sign. For passers-by,
this performance is a sort of moment of time suspension dissociated from reality.
Cinque danzatori sono collegati al muro dell’edificio dell’università mediante una cinghia rossa all’altezza della vita; vi si appoggiano con il corpo, inclinandosi verso il marciapiede. La performance ha l’impatto visivo di un fermo immagine e, come un segno grafico aggiunto, ridisegna lo spazio. Questa rappresentazione si offre ai passanti come un momento di sospensione temporale dissociato dal reale.
The motionless performers
stand in front of checkered blankets hanging on the wall,
with their gazes lost in the space. Each of them has a walkman connected with two
loudspeakers playing recordings of people’s little talks on public transports. The voices overlap and intertwine creating
imaginary conversations and
figures. The chaos produced resounds in the empty room, changing constantly. The static nature of the human figures is juxtaposed to the dynamism of the words, determining a destabilizing visual and conceptual short circuit.
Four inhabitants of the small
town of Casalpusterlengo hold checkered blankets in front of their bodies. The woolen
surfaces create a nomad and precarious room. The ephemeral volume interacts with the surrounding urban space, giving birth to new and multiple landscape sequences.
Quattro abitanti della città di Casalpusterlengo, per il breve tempo di uno scatto, stendono davanti a sé delle coperte quadrettate. Le superfici di lana si uniscono a formare una stanza nomade e precaria. Grado zero dell’abitazione, il volume effimero interagisce con il territorio urbano circostante originando molteplici e sempre nuove successioni di paesaggio.
La serie fotografica ritrae i clienti di un barbiere arabo di Milano. La postura dei soggetti di fronte alla macchina fotografica evoca le figure ieratiche dei dipinti dinastici. Il telo rosso, elemento lavorativo quotidiano, diventa un’investitura ecclesiastica o celebrativa che decostruisce immediatamente il dato reale per conferire un’aura nobile ai soggetti.
Un gruppo di cittadini romani si stringe a lato della stanza a formare una piccola piramide umana. Il muro di corpi nasconde delle casse audio da cui provengono effetti sonori di tuffi nell’acqua. Il suono dipinge un’immagine assente e dinamica che si contrappone al silenzio e alla staticità dei corpi. La stanza della galleria diventa realtà astratta, colma di un forte senso d’inerzia.
A complex itinerant work made up of elements that allude to spontaneous forms of aggregation in public spaces. It consists of a large market-stand tent and hundreds little mirrors with plastic frames hanging from raffia cords. Around the tent, four cars are parked, their headlights are switched on and their radios are playing loud music. As a result, the soundtracks overlap and mash- up. Each element chosen by the artist becomes an important piece of the little amusement park, where “architectures and people” converge without establishing new hierarchies. C.I.R.C.U.S. represents a new center “linked to the city, its changes are influenced by life and time”.
Si tratta di una complessa opera itinerante costituita da elementi che alludono a forme spontanee di aggregazione nello spazio pubblico. Si compone di un tendone da mercato e di centinaia di specchietti con cornice di plastica, appesi a fili di rafia. Intorno al tendone sono disposte quattro automobili con i fari accesi. Dal loro interno le autoradio trasmettono musica a tutto volume; le colonne sonore si sovrappongono e mescolano tra loro. Ogni elemento scelto dall’artista diviene componente di un “piccolo luna park” dove convergono e si riflettono “architetture e passanti”. Senza stabilire nuove gerarchie, C.I.R.C.U.S. definisce temporaneamente un nuovo centro “legato alla città, con una forma che cambia secondo il tempo e la vita che vi scorre attorno”.
A teenager is sitting on the step of the exhibition space entrance cutting out images from magazines and leaving them on the stairs. Picture fragments cover the floor, while visitors constantly change the distribution of the pieces; a work in progress takes place transforming the surface into a visual and dizzy chaos.
Un adolescente è seduto sui gradini dell’ingresso del palazzo espositivo. Ritaglia delle immagini da una serie di riviste patinate abbandonandole man mano sulla scalinata. I frammenti invadono il pavimento e il passaggio del pubblico muove in continuazione la distribuzione dei ritagli; si innesca un “work in progress” che trasforma la superficie in un caos visivo e vertiginoso.
Six performers went from via Col di Lana 8 to San Siro Stadium in Milan on foot and by tram, carrying on their heads some sculptures made of piled objects and pocket radios – parodying street sellers. The pop music spread by these radios formed a sort of “cacophonic” soundtrack for the performance. The combination of music and visual elements provokes uncommon reactions in a transformed ordinary context. The performance has been realized for the event Circular by Domus.
La performance, realizzata per l’evento Circular di Domus, si è svolta nel tragitto tra Via Col di Lana 8 e lo stadio San Siro a Milano. Un gruppo di sei performer porta sulla testa degli assemblaggi, simili a negozi ambulanti, fatti di sedie in plastica e oggetti accumulati. Il gruppo si muove sia a piedi che in tram. Alcune radio, annesse alle sculture, diffondono delle canzonette pop. La cacofonia musicale costituisce la colonna sonora della performance e l’improbabilità dell’evento lascia nella città una traccia audio-visiva destabilizzante.
The photograph portrays Marcello Maloberti hanging on the road sign marking the entrance to Casalpusterlengo, the artist’s home town. In an act of physical resistance, the artist simulates a constant precariousness and his devotion to precise socio-cultural roots. In the photograph, the two-dimensionality of the road sign juxtaposes to the surrounding bucolic landscape. The unreal image evokes a profane fall from heaven.
Lo scatto fotografico immortala Marcello Maloberti appeso al cartello d’ingresso di Casalpusterlengo, suo paese d’origine. Nell’atto di resistenza fisica, l’artista simula una precarietà costante e la sua devozione a precise radici socio-culturali. Nella fotografia, la bidimensionalità del segnale stradale si contrappone al paesaggio bucolico circostante. L’immagine irreale evoca una caduta profana dal cielo.
Twenty young men from India
are standing in the entrance hall of the Spazio Oberdan in Milan.
They hold bunches of red roses with raffia threads and colored pencils tied
to them, hanging from the stems like unnatural roots. The work asks the public to enter this floral and human architecture, smelling the heady scent of the roses.
Venti ragazzi indiani sono posizionati all’ingresso dello spazio Oberdan di Milano e tengono in mano un fascio di rose rosse. Dai gambi delle rose pendono, come delle radici innaturali, fili di rafia alle cui estremità sono legate delle matite colorate. L’opera coinvolge il pubblico che penetra in un’architettura umana e floreale, respirando l’inebriante profumo delle rose.
In the subway of Lisbon the artist becomes suddenly superman: between irony and embarrassment he has to fly low.
Nella metropolitana di Lisbona, l’artista diviene improvvisamente superman; fra ironia e imbarazzo, è costretto a volar basso.
In Raffaella Cortese’s Gallery in Milan a collective situation creates a narration device characterized by unpredictability. Tagadà comes from the overlapping of different languages, it is the sum of various situations that come to life at the same time, with no stage nor a unique point of view. The
exhibition originates from a dialog between objects: a porcelain tiger, a checkered table cloth, some magazine cuttings, whirling lights, safety pins, melons and pineapples; in the meantime, a child rides a motorbike through the exhibition space, wearing a helmet
covered with white shells. A wide range of images and perceptive stimuli mix with the music composed by Igor Muroni. This extraordinary jumble produces a particular energy characterized by chromatic and kinetic disorder. Tagadà is the name of a merry-go-round very popular in the 90s.
Nello spazio della Galleria Raffaella Cortese (Milano) una situazione collettiva continua crea un dispositivo narrativo governato dall’imprevedibilità. Tagadà emerge dalla sovrapposizione di diversi linguaggi, è la somma di situazioni multiformi che si animano contemporaneamente nell’assenza di un palcoscenico e di un unico punto di vista. La mostra si origina da un dialogo multiforme tra oggetti: la tigre di porcellana, la tovaglia a quadretti, i ritagli di riviste, le luci roteanti, le spille da balia, meloni e ananas; mentre un bambino motociclista, dal casco coperto di conchiglie bianche, percorre ossessivamente lo spazio espositivo. La molteplicità delle immagini e la miriade di stimoli percettivi si fondono nello spazio sonoro appositamente composto da Igor Muroni. La compresenza degli eventi scatena un’energia coinvolgente sotto forma di disordine cromatico e cinetico. Tagadà è il nome di una giostra molto popolare negli anni Novanta che dava vertigini.
A group of teenagers stands in front of the entrance to the exhibition palace. A young boy runs and jumps surrounded by
his peers, who throw bangers at his feet. Explosions and light
trails burst into the peaceful atmosphere of the art night event. The performance,
inspired by comics, transforms
an everyday gesture of game-surprise-fear into art.
Un gruppo di adolescenti occupa l’ingresso del palazzo espositivo. Un ragazzo corre e salta su se stesso accerchiato da altri coetanei che lanciano ai suoi piedi una serie ininterrotta di petardi. Le esplosioni e le scie luminose irrompono nell’atmosfera sospesa dell’evento artistico notturno. L’opera, pur nella leggerezza dell’ispirazione fumettistica, riesce a trasformare un quotidiano gesto di gioco-sorpresa-paura nella reiteratività del gesto d’arte.
In the picture, Marcello Maloberti holds in his hand a radio- melon. This object is conceived as a precarious sculpture that evokes the idea of war, an unusual exotic game.
Nello scatto fotografico Marcello Maloberti impugna una radiomelone. L’oggetto, una sorta di scultura improvvisata, rievoca un immaginario di guerra, di gioco e strano esotismo.
Raptus is a huge installation made of objects, sounds, lights and images that creates a number of rural, urban and
human landscapes set on each other like Chinese boxes, each one expanding itself to dominate the exhibition space. The public space becomes some sort of psychological portrait: the inner dimension of a person invades the landscape and projects itself onto it. Most of the exhibited works are produced with collage technique, which is seen not only as a technique, but also as a way to act in a reality that is the result of a taking and drawing-up
action.
Raptus è un’imponente installazione composta da oggetti, suoni, luci e immagini che creano una molteplicità di paesaggi rurali, urbani e umani incastrati l’uno dentro l’altro come scatole cinesi che si espandono sino a dominare lo spazio espositivo. Lo spazio pubblico diventa una forma di ritratto psicologico, la dimensione interiore invade il paesaggio, come se quest’ultimo fosse uno schermo di proiezione soggettiva. Gran parte dei lavori esposti ruotano intorno al dispositivo del collage, inteso non solo come tecnica ma, soprattutto, come una modalità operativa, come se tutta la realtà fosse oggetto di un’azione di prelievo e di accostamento all’insegna del disordine percettivo, della similitudine formale e del paradosso linguistico.
Several collages of juxtaposed clippings are fixed with screws
on wood tablets. The images produced by visual combinations and associations create paradoxical worlds pervaded by an unsettling horror vacui. The juxtaposition of clippings gives new life to the subjects represented. The layering of the collages recalls the form of an architecture: the images seem
to engage in a constant competition to emerge, and mark a space for themselves in the visual area set up by Maloberti.
Numerosi collage, ottenuti tramite la giustapposizione di ritagli di riviste, sono applicati tramite viti su tavolette di legno. Le immagini che ne scaturiscono, frutto di accostamenti e associazioni visive, originano mondi paradossali, pervasi da un horror vacui spaesante. L’assemblaggio dei ritagli dà nuova vita ai soggetti rappresentati. La stratificazione dei collage assume i contorni di una vera e propria architettura: le immagini sono in costante competizione per emergere e ritagliarsi uno spazio nell’area visuale predisposta da Maloberti.
The Performance, conceived for Performa 09, started with a collective dance led by a performer that involved a group of inexperienced clumsy
dancers. The Romanian folk music and the yellow melons evoke an exotic image, contrasting with the city’s background. The dance performance includes camping and spread settlement in the metropolitan public space.
By Barbara Casavecchia e Caroline Corbetta.
La performance ideata per Performa 09 si è aperta con un ballo collettivo capitanato da un performer danzante con ballerini maldestri e inesperti al suo seguito. La musica folkloristica rumena e i meloni gialli evocano un’immagine esotica poco raffinata in contrasto con la città di New York. La performance si alterna a momenti di camping e di insediamento incontrollato nello spazio pubblico all’aperto.
A cura di Barbara Casavecchia e Caroline Corbetta.
A miscellaneous group of characters marchs around the district, wearing colors and sculptures. The performers bodies become itinerant buildings. The combination between figures and objects creates extemporary skylines. The performance hides itself, blends and emerges
continuously among the citizens. The parade produces an unexpected invasion of the
Anton Kern gallery.
Curated by Barbara Casavecchia and Caroline Corbetta.
Un gruppo eterogeneo di figure sfila per il quartiere indossando delle sculture colorate ed effimere. I corpi dei performer diventano costruzioni ambulanti verticali. L’assemblarsi delle figure e degli oggetti origina sempre nuovi skylines improvvisati. La performance si confonde, si fonde ed emerge in continuazione tra i passanti per poi rimescolarsi di nuovo nello sfondo metropolitano. La sfilata irrompe e si compie in un’invasione inaspettata della galleria Anton Kern.
A cura di Barbara Casavecchia e Caroline Corbetta.
An intimate portrait of the artist standing at the window of a room in the Chelsea Hotel, in New York City. He rented the room just for one night, to take this picture.
The artist – dressed in black with a viking helmet on his head – becomes part of the hotel
room’s portrait, in which daily life and melancholy battle each
other.
Un ritratto intimo dell’artista che si affaccia sulla città di New York dalla finestra della sua camera del Chelsea Hotel, affittata per una notte solo per realizzare questa fotografia. Vestito di nero e con il suo cappello da vichingo, diventa parte di questo ritratto fotografico ambientato nella camera d’albergo, dove contrastano scena quotidiana e surreale malinconia.
Fifteen people stand in line holding fifteen porcelain tigers above their heads. A minute later they let the tigers fall and crash on the ground. A silent and
empty space is instantaneously overwhelmed by a deafening noise and covered by a whole multitude of porcelain fragments. An animated fridge moves through a small adjacent room like a mysterious domestic specter. In the entrance hall a kid cuts hundreds of paper knives from magazines and the whole room becomes a deep lake of blades.
Nel grande spazio espositivo una fila di persone tiene sollevate quindici tigri di porcellana. Dopo un minuto di tensione lasciano cadere contemporaneamente le tigri sul pavimento. Lo spazio vuoto e silenzioso viene invaso in un istante dal rumore assordante e da una distesa di cocci e detriti che evocano un unico corpo esploso. In una piccola stanza adiacente, un frigorifero animato si muove nello spazio come uno strano incubo domestico. Un ragazzino all’ingresso taglia centinaia di coltelli di carta fino a trasformare il pavimento in un lago di lame.
In a click, a sculpture transforms into a portrait. The wearable sculpture becomes like a second black dress for the subject, merging the futuristic lines and forms of Malevic’s Suprematism.
In uno scatto fotografico una forma scultorea si trasforma in ritratto. La scultura portatile diventa come un secondo abito nero del soggetto, in una unione di linee futuriste e forme suprematiste di Malevič.
A black and a white skin soldier, members of the Italian alpine troops, move on all fours inside the space of Zero Gallery and the Marconi Studio. Both of them wear the official olive-green uniform. The performance is a determined sign, a tacit and wild gesture. It is an invasion into new territory for Marcello. The Italian spirit, the image of the nation is seen in an ironic and bittersweet way. The way the two people move is a futile attempt to avoid being seen. The Alpinos try hard to hide behind an invisible trench, they do it no matter what, it’s a matter of honor, a serious game, perpetual war.
Due alpini uno di colore e uno bianco si muovono a gattoni nello spazio della Galleria Studio Marconi e Galleria Zero. Entrambi indossano la divisa ufficiale verde oliva, compresa di cappello con penna. La performance è un segno secco e deciso, taciturno e selvatico. Un’invasione in un territorio forestiero per Marcello. L’italianità, l’immagine della nostra nazione è attraversata da sentimenti di ironia e amarezza. La posa che i due uomini assumono è un inutile tentativo di non essere visti. Gli alpini si nascondono dietro una trincea che non esiste ma ci provano e resistono come per una questione di onore, come in un gioco serio. Come in una guerra continua.
Tarzan Noir is a performance that took place during the 10th Nuit Blanche in
Paris. Starting from Brétigny – seat of the Centre d’Art Contemporain -, a group of people traveled to the Capital by RER
train and metro, carrying thirty-five porcelain tigers, which got deposited in the Arènes de Montmartre at the end of the journey. At the same time of the event’s launch, the performers lifted the sculptures and smashed them on the ground. In this work, the artist focuses
on the theme of traveling by public transports through the urban pattern,
that we can find in some of his earliest works. At the same time, the impetuousness of the gestures makes Tarzan Noir an undeniable political action of re-appropriation and
re-territorialization of public spaces.
Tarzan Noir è una performance che ha avuto luogo in occasione della decima Nuit Blanche di Parigi. Partendo da Brétigny – sede del Centre d’Art Contemporain – un gruppo di persone ha raggiunto la capitale a bordo del treno RER e della metropolitana, portando con sé trentacinque tigri di porcellana, depositate al termine del viaggio presso le Arènes de Montmartre. In questo luogo, in concomitanza con l’avvio dell’evento, i performer hanno sollevato in sincrono e tenuto sospese le sculture, lasciandole successivamente cadere al suolo. In questo intervento l’artista riprende la tematica del viaggio con i mezzi pubblici attraverso il tessuto della città, presente in alcuni dei primi lavori della sua carriera. Allo stesso tempo, l’irruenza del gesto configura Tarzan Noir come un’azione innegabilmente politica di ri-appropriazione e ri-territorializzazione dello spazio pubblico.
Amado mio is a temporary monument in which the artist’s body becomes a dynamic and unexpected landscape. The beach towel is a
two-dimensional surface that evokes an exotic scenario, juxtaposed to the context in which the action takes place: the cave of Trescore Balneario. The base of the installation is characterized by an irregular shape that creates a condition
of constant instability in which the artist-performer finds
himself, highlighting the momentary nature of the work.
Amado mio è un monumento temporaneo in cui il corpo dell’artista si trasforma in un paesaggio mobile e improvviso. Il telo-mare sorretto è una superficie bidimensionale straniante che evoca uno scenario esotico, contrapposto al contesto in cui l’azione prende forma: la cava di Trescore Balneario. La base dell’installazione è di forma irregolare e costringe l’artista-performer a una condizione di crescente instabilità, acuendo il carattere transitorio del lavoro.
Its proximity in the exhibition space to other monumental works by the artist lends this small-scale installation the role of a thematic and spatial counterpoint. Subtle but meaningful correspondences link it to other works in the exhibition: the little suns here plummeting into a photographic sea after having been cut
by the artist into a series of rather hackneyed picture postcards recall the panthers in Blitz smashed into shards on the floor. The Egyptian cigarette packs form a figurative and material horizon, balancing the vertical thrust of Sim Sala Bim, and gives life to an unexpectedly
(and deceptively) romantic panorama.
With this never-before-exhibited work, Maloberti uses exotic references and clichés to allude to recent political events (the uprising in Egypt in 2011) and, more
in general, to the function of cultural stereotypes in the creation of models of identity and recognizability.
La prossimità dello spazio di esposizione agli altri interventi di dimensioni monumentali conferisce a questa piccola installazione un ruolo di contrappunto tematico e spaziale. Sottili ma significative corrispondenze la legano del resto alle altre opere in mostra: se le pantere di Blitz sono state infrante sul pavimento, qui dei piccoli soli si tuffano in un mare fotografico dopo essere stati ritagliati dall’artista in una serie di assai convenzionali cartoline illustrate. I pacchetti di sigarette egiziane compongono un orizzonte non solo figurato ma anche materiale, che bilancia la spinta verticale di Sim Sala Bim e dà corpo a un panorama inaspettatamente (e ingannevolmente) romantico. Con questo lavoro inedito Maloberti utilizza suggestioni e cliché esotici per alludere anche a vicende politiche recenti (la sollevazione popolare in Egitto del 2011) e più in generale al ruolo degli stereotipi culturali nella creazione di modelli di identità e riconoscibilità.
During the inaugural evening at MACRO,
twenty-five performers destroyed twenty-five life sized black ceramic panthers – mass-produced, kitsch objects – after keeping them lifted above their heads for one minute. The short but intense action made the public experience a physical and emotional climax, culminating in the resounding crash of the ceramic panthers. The audience was also given the possibility to become an integral
part of the performance by stepping on the shards or picking them for themselves, a situation that had already occurred previously in other Maloberti’s works such as Tarzan Noir (2011). In this performance, as in Maloberti’s latest works, iconic images and real explosions of energy are created and combined with the capacity of penetrating allegorical resonances and “political” potentials:
the panthers’ destruction parallels the break of every boundary between the art scene and existence, between symbolic force and material resistance, between distance and engagement.
Durante la serata di inaugurazione della mostra al MACRO, venticinque performer hanno distrutto altrettante pantere nere di ceramica a grandezza naturale – un oggetto kitsch prodotto in serie – lanciandole sul pavimento dopo averle tenute sollevate sopra la testa. Un’azione breve e intensa, durante la quale il pubblico ha prima assistito all’accumularsi della tensione fisica ed emotiva e al suo rapido scioglimento, culminato nel fragoroso schianto delle pantere, e che poi è materialmente entrato in scena, calpestando i “cocci”, oppure prelevandoli per portarli via, come del resto era già accaduto in lavori simili, ad esempio Tarzan Noir (2011). In questa occasione, come del resto spesso accade in tutto il percorso più recente di Maloberti, la creazione di immagini memorabili e di vere e proprie esplosioni di energia si combina con la capacità di approfondirne le risonanze allegoriche e i potenziali “politici”: la distruzione delle pantere come equivalente dell’infrangersi della barriera tra la scena dell’arte e il piano dell’esistenza, tra forza simbolica e resistenza materiale, tra distanza e coinvolgimento.
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A child sits on the ground, absorbed in the act of cutting pictures – that he drops on the floor – from a series of glossy magazines, introducing “the modernist principle of collage into a sphere of everyday life”. The performance takes place at the entrance of an exhibition space which is invaded by hundreds of cut-out images the position of which is constantly changed by the incessant passage of visitors.
Un bambino seduto a terra è impegnato nell’atto di ritagliare immagini da una serie di riviste patinate, per poi abbandonarle via via sul pavimento, importando in questo modo “il principio modernista del collage nell’ambito non strutturato del quotidiano”. Intenzionalmente ambientata all’ingresso degli spazi espositivi, l’azione produce come risultato l’invasione di un luogo di grande transito da parte di centinaia di immagini, dove l’incessante passaggio dei visitatori modifica costantemente la posizione dei ritagli, dando vita a un enorme assemblaggio visivo in continua evoluzione.
Giorgio de Chirico’s bed gives to the artist the possibility to act
the part of the absent master.
During this dream, Marcello Maloberti establishes a psychological contact that reveals the dreamlike power of the performance.
Il letto di Giorgio de Chirico consente all’artista di impersonare il maestro assente. Durante il sogno, Marcello Maloberti stabilisce un punto di contatto in grado di rivelare il potenziale onirico della performance.
‘Sommerfugle spiser bananer (THE END)’ is a performance staged at Amagertorv square during the Copenhagen Art Festival. The event features 24 performers. Each one carries a big porcelain tiger while moving through the city on foot or by public transports. Once they
have reached Amagertorv
square they line up undressed and, after receiving Maloberti’s command, smash the tigers on the ground. This performance gives to the artist the possibility to emphasize, in a provocative way, the wild essence of some symbols that live in apparent contradiction.
Sommerfugle spiser bananer (THE END) è una performance organizzata durante il Copenhagen Art Festival. La performance prevede il coinvolgimento di ventiquattro performer. Ogni perfomer trasporta per la città una grande tigre di porcellana muovendosi a piedi o con i mezzi pubblici. Una volta giunti ad Amagertorv, svestiti e allineati, al comando di Marcello Maloberti scagliano al suolo le tigri. Questo lavoro consente all’artista di enfatizzare in modo provocatorio l’essenza selvaggia di alcuni simboli, solo apparentemente in contraddizione tra loro.
‘La voglia matta’ is the allegory
of a multiform square dominated by a large monument, a Carrara marble boulder placed in the centre of the space. Fifty-five sculptures called “Bolidi”- wooden tables that represent “dynamic architectures”-,
inspired by the modernist period, are arranged around the boulder.
The sculptures, are sustained by fifty-five performers that form a sort of fragmentary and fragile army. Moreover, the sculptures define in an abstract way the volubility of an imaginary and unstable city. The diversity of the faces of the performers, of their bodies and material elements,
the impossibility to freeze up the scene, contributes to create a scenario in constant evolution.
At the center of the performance, the majestic Carrara marble constitutes the base of an ideal room, a parallelepiped made of four beach towels sustained by an equal number of performers. The beach towels depict an exotic self-propelled scenery, whose changes are due to the material that constitutes the towels. The performers, stooping and getting up, transform the essence itself of the monument, subverting the traditional
stillness of the institutional
works of art. The performers movement is an ode to the sun, that ceases only when they leave the scene. ‘La voglia matta’ represents the unavoidable preponderance of chaos, even
in a minimalistic context.
La voglia matta è l’allegoria di una piazza multiforme, dominata da un grande monumento, un masso in marmo di Carrara posto al centro dello spazio. Attorno al masso sono collocate cinquantacinque sculture di ispirazione modernista, tavoli di legno chiamati Bolidi. I Bolidi sono sorretti da cinquantacinque performer, che compongono una sorta di esercito frammentario e fragile. Le sculture sono architetture mobili che definiscono, in forma astratta, la volubilità di una città immaginaria e instabile. La diversità dei volti, dei corpi e delle sculture, l’impossibilità di mantenere una staticità complessiva produce uno scenario indefinibile, in costante evoluzione. Al centro della performance, l’imponente masso di Carrara costituisce la base di una sorta di stanza, un parallelepipedo formato da quattro teli da mare sorretti da altrettanti performer. I teli da mare raffigurano uno scenario esotico semovente, volubile anche a causa del materiale che li costituisce. I performer, chinandosi e alzandosi, trasformano la natura stessa del monumento, sovvertendo la tradizionale fissità delle opere istituzionali. Il movimento dei performer è un inno al sole continuativo, che si interrompe solo nel momento in cui abbandonano la scena. La voglia matta esprime l’impossibilità di conservare intatto uno spazio minimalista. È un elogio all’esagerazione.
This collection of photographs recalls various steps of the creation of Maloberti’s project
for the 55th contemporary visual art exhibition of the Venice Biennale. Different characters, object’s fragments, sculptures
and visions overlap and join to create a set of different perceptions and coral point of views. The abstract portable sculptures contrast with the portraits of young artists
who were taking part in the performance.
In questa raccolta di opere fotografiche vengono raccontati i momenti di realizzazione del progetto di Maloberti in occasione della 55° Biennale di Arte Contemporanea di Venezia. Immagini in cui personaggi, frammenti di oggetti, sculture e visioni si sovrappongono, fondendosi in un magazzino percettivo e formando una visione corale. Le sculture astratte portatili, quasi dei frammenti di architetture, contrastano con i ritratti dei giovani artisti che partecipavano alle prove della performance.
“Kisses Sweeter Than Wine” is a verse from the biblical Canticle
of Songs of Solomon. Maloberti chose it as the title for the small “garden of delights” he created on the terraces of the Centro Zegna, his first permanent public work. ‘Kisses Sweeter
Than Wine’ occupies the previously neglected area of the old bocce courts: a familiar place to many inhabitants of Trivero. This location was suggested to the artist by the members of
local associations with whom he collaborated, not only to create the installation, but also to organize the collective performance which celebrated
its inauguration. Maloberti also involved in the project the students and teachers of the primary schools in Ronco. The garden includes several elements; the most visible one is a monumental writing on the wall (over thirty meter long), spelling out in concrete the work’s title, taking inspiration from the font used for the original center’s signs. The most charming one is a rose garden with fifteen varieties of white flowers. Furthermore, there are ornamental fruit trees; a set of tables designed by the artist; a fragment of a stage illuminated by colourful light bulbs and a half-moon neon sign. The space is meant to be enjoyed by the
whole community of the center.
I baci più dolci del vino è una citazione dal biblico Cantico dei Cantici di Salomone. Maloberti l’ha scelta come titolo per il “giardino delle delizie” che ha realizzato sulle terrazze del Centro Zegna, il suo primo intervento pubblico permanente. Il giardino occupa l’area in disuso dei vecchi campi di bocce: un luogo presente nella memoria di molti Triveresi, suggerito all’artista dai membri delle associazioni locali con le quali ha collaborato, sia per ideare l’opera, sia per orchestrare la grande performance collettiva che ne ha festeggiato l’inaugurazione. Maloberti ha coinvolto nelle diverse fasi del progetto anche gli studenti e le insegnanti delle scuole primarie di Ronco. Il giardino comprende numerosi elementi. Il più visibile è la monumentale scritta in cemento (lunga trentadue metri) che scandisce il titolo, riprendendo la grafica originale delle insegne del centro. Il più incantevole è il roseto che riunisce quindici varietà di fiori, tutti bianchi. Inoltre, vi sono alberi ornamentali, arredi in cemento disegnati dall’artista, un ideale frammento di palco, illuminato da lampadine colorate e una mezzaluna al neon.
The performance aims to
develop a dynamic relationship between five movable sculptures and the visitors of the fair. Each
sculpture is carried by a young artist and consists of an unusually shaped raw wooden table. A dwarf cypress is placed on each table. Introducing an uncommon, natural presence in an indoor context, the tables acquire a new function: they become poetic platforms, terrestrial islands able to establish symbolic fusions between the performers and the natural elements that they carry. The evolution of the
performance depends on the interaction between the visitors and the performers. They move through the fair space, from time to time interrupting their path, carrying an Italian national flag ironically extended with a pizzeria tablecloth, as if it was a chinese dragon.
La performance mira a creare una relazione dinamica tra cinque sculture mobili e i visitatori della fiera.
Ciascuna scultura consiste in un tavolo di legno dalla forma metafisica tenuto e trasportato da un giovane artista. Su ogni tavolo è installato un cipresso nano. I tavoli, introducendo una presenza naturale in uno spazio chiuso, acquisiscono una nuova funzione diventando piattaforme poetiche, isole terrestri capaci di stabilire una fusione simbolica tra i performer e l’elemento naturale che trasportano. L’evoluzione non è controllata dall’artista, ma dipende dall’interazione casuale tra i visitatori e i performer. Muovendosi nello spazio della fiera i performer trasportano una bandiera italiana ironicamente allungata con una tovaglia da pizzeria come fosse un dragone cinese.
The brick installation is
constructed in order to do push-ups. While exercising, the performer becomes a dynamic sculpture, an “animated
statue”, which creates an ideal connection with Marini’s figurative sculptures. On the bricks the artist has written three french words: “Messe en français”. These three words recall a picture shown in a 70s issue of National Geographic magazine about french colonialism. The photograph portrayed the staircase of a church, on which were written
the three words. These words
can also be linked to a famous Pasolini’s speech, in which the italian writer described the incapability of French people to recognize the habits of the African immigrants of the 20th century.
La costruzione in mattoni serve a esibirsi nell’atto di fare delle flessioni. Mentre compie le azioni previste, il corpo stesso del performer diventa scultura, anzi, statua: statua animata, statua calda idealmente in dialogo con le sculture figurative di Marini. Le tre parole in lingua francese richiamano un’immagine, pubblicata su un numero del National Geographic degli anni ‘70, dedicato al colonialismo francese: al di fuori di una chiesa furono fotografate le parole visibili su una scalinata, “messe en français”. Queste parole, a loro volta, possono riferirsi a un celebre discorso di Pier Paolo Pasolini, durante il quale lo scrittore descrisse l’incapacità del popolo francese di riconoscere le caratteristiche identitarie dei migranti africani trasferitisi in Francia durante il XX secolo.
Marcello marks an apparent surrender of the artist to the image. Maloberti decides to create a new piece within his artistic path by exploring the imaginative power of words,
their capacity to compensate for the lack of images, creating a set in constant evolution. The artist makes a minimal optical intervention, with four table-sculptures placed
asymmetrically, in front of a large neon writing that stands on the wall as a kind of textual horizon. On each table are placed many books: ideal archives of suggestions, onomatopoeic words, rapid anecdotes, desires and moments of dizziness, titles of the exhibitions that have already taken place or still wait
to be performed.
Marcello segna un’apparente rinuncia all’immagine da parte dell’artista. Indagando il potenziale immaginifico delle parole, la loro capacità di compensare l’assenza di elementi figurativi, Maloberti sceglie di costituire un tassello nuovo all’interno del suo percorso artistico, grazie al quale mira a delineare uno scenario costantemente in evoluzione. L’artista compie un intervento visivamente minimale, caratterizzato dalla presenza di quattro tavoli-scultura disposti asimmetricamente rispetto a una grande scritta a muro, una sorta di orizzonte testuale, collocato sulla parete più estesa della sala. Ogni tavolo costituisce la base d’appoggio di altrettanti libri: ideali archivi di suggestioni, parole onomatopeiche, aneddoti fulminei, desideri e vertigini, titoli di mostre già realizzate oppure da compiersi.
The work is a huge collage in which the Italian magazine
Airone – corresponding to National Geographic – becomes
a palette of colors and images. The result is a mosaic made
up of many little windows,
creating perceptual chaos and conveying the idea of shapelessness. The magazine’s cuttings, taped on paper, are used as small pieces
of the mosaic. A new geography, made up of different and
multiple puncti in a wide collection of images, is created by the overlapping of precious details.
L’opera è un grande collage dove la rivista Airone, corrispondente italiano di National Geographic, diventa una sorta di tavolozza di colori e immagini con la quale l’artista crea un mosaico impossibile formato da tante piccole finestre, che ci restituiscono un caos percettivo, contenente l’idea di informe. I frammenti della rivista diventano piccole tessere di mosaico che l’artista va a fissare tramite dello scotch. Attraverso una sovrapposizione di dettagli preziosi si viene a creare una nuova geografia composta da diversi e molteplici punctum all’interno di una vasta collezione di immagini diverse.
Drawings, collages and notes mixed together to create a sort
of first step of the artist’s work.
A pamphlet of future works and visions that makes up a whole imaginary world through a happy and spontaneous sign enriched by some keywords, like in a stream of consciousness.
These overlapping
signs and different energies create a precious compote of marmalades in Maloberti’s
artistic research.
Disegni, collage e appunti si mescolano creando una sorta di primo step del lavoro dell’artista. Si viene a formare una dispensa di idee di lavori futuri e visioni che compongono tutto un immaginario attraverso un segno felice e spontaneo, che si unisce ad alcune parole chiave come in un flusso di pensiero. Queste sovrapposizioni di segni ed energie differenti vengono a creare una conserva di marmellate preziose all’interno della ricerca di Maloberti.
The work draws inspiration from
a previous work of the artist,
Kasalpusterlengo, 2006
[lambda print 50 x 35 cm], a photograph that portrays Marcello hanging from the welcome sign of
Casalpusterlengo, his hometown,
underlining the importance of his origins. For this installation,
the welcome sign has been completely subverted, cement blocks at the base included, from the ground it used to belong to. By removing the welcome sign from its original place, the
artist has the possibility to move the borders which it originally
was delimiting: the welcome sign brings the dreamy province in
the center of Milan and creates
a gate to new geographies. The length of the text written on the sign, ‘Casalpusterlengo’, recalls the idea of an alphabet, but represents a manifesto of the artist’s work as well, a manifesto that Marcello would like to carry around to other cities, in Italy
and abroad.
Il lavoro si ispira a un’opera del 2006, Kasalpusterlengo [stampa lambda 50×35 cm], uno scatto che ritrae Marcello di spalle ed appeso con le braccia al cartello di benvenuto del comune di Casalpusterlengo, il suo paese natale. Una fotografia che rappresenta il legame con le sue origini. In questa installazione il cartello di benvenuto è stato scardinato in toto, blocchi di cemento alla base compresi, dal suo suolo di appartenenza. È come se spostando il cartello di benvenuto dalla sua zona l’artista spostasse anche il confine che delimitava originariamente: il cartello porterà con sé la sognante provincia verso il centro di Milano, creando una sorta di porta di ingresso verso nuove geografie. La lunghezza del testo del cartello, Casalpusterlengo, richiama l’idea di un alfabeto, ma rappresenta anche il manifesto del lavoro dell’artista, un manifesto che Marcello vorrebbe portare in giro in altri paesi, in Italia e all’estero.
The work Brixia is installed in Brescia’s subway station, Stazione FS, between the two escalators. It has been placed there to make people heading downstairs see the normal text ‘BRESCIA’, and to make those who are going upstairs see a mirrored text crossed by a red line. The idea to put the road
sign upside-down comes from the artist’s desire to ideally
represent a second city growing under the ground, like an ancient archaeological city. Like two mirrored cities, one developed
on the surface, the other one under the ground. The
sculpture-object, hanging from the ceiling like a chandelier and cutting the space horizontally, creates an attractive and
puzzling punctum for people.
L’opera Brixia è installata nella stazione metropolitana di Brescia, Stazione FS, nel mezzo dello spazio tra le due scale mobili. In questo modo chi scende verso la metropolitana vede la scritta BRESCIA, mentre chi sta uscendo vedrà la scritta barrata. L’idea del cartello al contrario viene dalla volontà dell’artista di rappresentare idealmente una seconda città che si sviluppa sottoterra, come a rappresentare una città antica e archeologica. Una sorta di città speculare, una sviluppata in superficie e una sottoterra. Una scultura-oggetto che si sviluppa in verticale, tagliando orizzontalmente lo spazio, cadendo dall’alto come un lampadario e creando un punctum attrattivo per il passante.
Through gestural and spontaneous neon writing, as
if it was a commercial sign, Maloberti highlights the religious contradictions of our time. He takes an hebraic word, found both in christian culture
– with the meaning of “I truly tell you” – and in islamic culture –
with the meaning of “So be it” -,
and gives it a pop look, in order
to emphasize a word that
connects different cultures.
Attraverso la scrittura gestuale e spontanea riprodotta a neon, come fosse un’insegna commerciale, Maloberti accende le contraddizioni religiose che attraversano il nostro tempo. Utilizzando una parola che, nata dall’ebraico, è stata poi assorbita sia dalla cultura cristiana, dove significa “In verità vi dico”, sia da quella islamica, dove invece significa “Così sia”, si opera una riattivazione in chiave pop di un elemento che unisce varie culture.
Metal Panic is an original performance purposely conceived and realized for Bologna. In a four meters wide
street, a twenty-four meters long iron pipe, with a diameter of nine centimeters, is raised by both amateur and professional strongmen with a gesture of lifting a line in a minimal horizon. After a minute of tension between high and low, the performance will resolve unpredictably. A human architecture for a homemade horror. “Modern Horizon of Modern Iron”. An inaugural gesture, shamelessly unproductive, like all ribbon cuttings, at the entrance of
Raum, meticulously prepared, made with reckless effort and dangerously consumed in a
flash.
Metal Panic è una performance inedita realizzata a Bologna. In una strada stretta quattro metri, un tubo di ferro di ventiquattro metri, con un diametro di nove centimetri, viene innalzato da forzuti professionisti e non con un gesto di sollevamento in un orizzonte minimale. Dopo un minuto di tensione tra alto e basso, la performance si risolve imprevedibilmente. Un’architettura umana per uno spavento casalingo. “Orizzonte moderno di ferro moderno”. Un gesto inaugurale, spudoratamente improduttivo come tutti i tagli di nastro, davanti all’ingresso di Raum, preparato meticolosamente, realizzato con sforzo sconsiderato e rischiosamente consumato in un baleno.
For the opening of the Quadriennale
d’Arte di Roma, a small stage is placed in the center of the circular room at the entrance of Palazzo delle Esposizioni. During the key moment of the vernissage, Ninetto Davoli, the iconic actor of Pier Paolo Pasolini movies, walks on the stage wearing an elegant black tuxedo. The stage where people can see the famous actor can accommodate just one extra person. The public is able, one person at the time, to get on the stage where Ninetto Davoli will give an elegant
baciamano (a kiss on the hand).
The inspiration source for the performance comes from a sketch-performance by Luciano Fabro, who kissed the hand of the art critic Carla
Lonzi. For an hour Ninetto Davoli will represent Rome and its allure, welcoming and greeting with his refined baciamano the public at the Quadriennale d’arte.
In occasione dell’inaugurazione della Quadriennale d’arte di Roma un piccolo palco è collocato al centro della stanza circolare d’ingresso del Palazzo delle Esposizioni. Nel momento culminante dell’inaugurazione ecco entrare in scena Ninetto Davoli, l’attore simbolo di Pier Paolo Pasolini, vestito con un elegantissimo smoking nero, sale su questo palchetto per due. Infatti il palco sul quale vediamo il famoso attore romano può ospitare solo un’altra persona. Il pubblico della Quadriennale può, uno alla volta, raggiungere Ninetto Davoli che dà un elegantissimo baciamano. L’immagine d’ispirazione della performance proviene da un gioco-performance di Luciano Fabro, che durante l’inaugurazione di una delle sue prime mostre, baciò la mano della critica d’arte Carla Lonzi. Per un’ora è come se Ninetto Davoli rappresentasse Roma e tutto il suo immaginario, che accoglie e saluta, con un raffinatissimo baciamano, tutto il pubblico della Quadriennale d’arte.
A boy sitting on the ground is cutting images of sculptures out of a series of books about Egyptian, Sumerian, Assyrian, Aztec and Etruscan art. Later he abandons them on the floor already covered with scraps. Settled within the exhibition centre of the Quadriennale di Roma, this performance results
in hundreds of images invading
a transit space, where the incessant passage of visitors constantly modifies the position of the scraps, bringing to life a huge visual assemblage in continuous evolution, as if it was a contemporary archaeological site. The cropping gesture rebuilds a memory mixing and blending places, times and different cultures.
Un ragazzo seduto a terra è impegnato nell’atto di ritagliare sculture da una serie di libri sull’arte antica di Egizi, Sumeri, Assiri, Atzechi ed Etruschi, per poi abbandonarle via via sul pavimento già invaso di ritagli. Ambientata all’interno degli spazi espositivi della Quadriennale di Roma, l’azione produce come risultato l’invasione di un luogo di grande transito da parte di centinaia di immagini, dove l’incessante passaggio dei visitatori modifica costantemente la posizione dei ritagli, dando vita a un enorme assemblaggio visivo in continua evoluzione, come fosse un sito archeologico contemporaneo. Il gesto del ritagliare ricostruisce una memoria dove si mescolano e si fondono insieme luoghi, tempi e culture diverse.
A boy from the Modern school Un ragazzo della Modern school di Pune seduto a terra è impegnato nell’atto di ritagliare immagini di sculture sculture provenienti da tutto il mondo da una serie di libri, per poi abbandonarle via via sul pavimento già invaso di ritagli. Ambientata all’interno di un’aula della scuola, l’azione produce come risultato l’invasione di un luogo di grande transito da parte di centinaia di immagini, dove l’incessante passaggio dei visitatori modifica costantemente la posizione dei ritagli, dando vita a un enorme assemblaggio visivo in continua evoluzione, come fosse un sito archeologico contemporaneo. Il gesto del ritagliare ricostruisce una memoria dove si mescolano e si fondono insieme luoghi, tempi e culture diverse.
of Pune sitting on the ground is cutting images of sculptures
from all over the world out of a series of books. Later he abandons them on the floor already covered with scraps.
Settled within one of the classroom of the school, this performance results in hundreds of images invading a transit space, where the incessant passage of visitors constantly modifies the position of the scraps, bringing to life a huge visual assemblage in continuous evolution, as if it was a contemporary archeological site. The cropping gesture rebuilds a memory mixing and blending places, times and different cultures.
A boom lift elevates a palm tree while the famous Italian melodic song of the ‘50 “Nel blu dipinto di blu (Volare)” is played by a local brass band. Standing high in the sky like a precarious monumental obelisk, the palm tree, symbol
of exoticism, mixes with the vernacular aspect of the band and with the italian nostalgic
melodic song creating a
mash-up, typical of Maloberti’s alphabet. Kolossal stands as cohabitation of different cultural signs strategically located on a
junction of different roads and bridges. The action works as
a temporary landmark in the urban context as well as the conclusion of the itinerary of
the Biennale.
Una palma viene sollevata nel cielo da un elevatore mentre una banda locale indiana intona le note di “Nel blu dipinto di blu (Volare)”.La palma, simbolo esotico, si mischia con la vernacolarità della banda indiana e con la melodia tipicamente italiana della canzone “Volare”.La palma, innalzata come una sorta di obelisco precario, diventa la più alta del mondo ed assume la funzione di segno visibile ma temporaneo nel contesto urbano. Kolossal si pone come una coabitazione di segni culturali differenti in un unico spazio, quello dello Z-bridge, arteria di unione tra la parte vecchia e nuova della città.